domenica 20 novembre 2011

Il faro


Prendemmo la torre,
dove altre genti difesero la vita,
dove altre luci indicarono la via.
Cinque futuri uomini, cinque diversi destini,
alle spalle un futuro blu, gridando “abbiamo
preso la Torre, conquistato il fortino”

Mentre il vento scherzava le onde,
l’obiettivo scrutava l’ascesa di pelli instabili.
Imperturbato, indifferente allo scatto gentile,
scavava l’istante d’espressioni forzate.
Ricordo:
una mano bionda, subito dopo,
mi alterò il sorriso.
La ignorai, fingendo d’essere assorto.

Liquidai la distrazione:
un costume di bimba, quella stessa sera,
sussultò un altro destino.
Mi rideva alle spalle, acqua cheta,
intimidito e allarmato, nell’ascesa.
Quando raccontò l’impresa, stranito,
il sorriso mi precipitò
perdendosi nell’ascolto.


Non è la foto a parlare, non più:
è il sole che brucia;
il vento che spettina;
l’onda che canta,
il futuro che tesse la sua trama;
il passato che affila la sua lama


Salimmo, fino a dove si poteva andare, e,
rannicchiati, sovrastammo il mare.
Inebriati dalla troppa pelle.
Rimasi arroccato, semincosciente,
fino a quando una certezza umida
mi restituì ai sensi.
Lucore di stelle.

Il sorriso, la pelle, il corpo tutto
ardevano per chi, riacquisito fuoco, era obiettivo
e sgomento.
 Trascorso il momento, le combinazioni
si muovevano velocemente
verso nuove sfide.
Certezze d’otturatore.


Una fotografia racconta
ciò che le si fa narrare, fino a soffocare
in ciò che la circonda. Lo scatto farà sorridere
i ricordi, accantonati i risvolti, cavalcando l’onda.
Perdendo l’anima.

Trattenuto il respiro,
fino all’asfissia degli occhi,
riuscii a sentire il mondo ripartire in convulsione
di gambe, in sfida di gradini:
arrampicandomi sulle mani, le gambe
mi fecero da strada.



Trent’anni dopo,
osservando oltre il lampione,
mi scorrono davanti le luci del faro.
Nella penombra dell’interprete, infinite
salite si scalano lentamente, affastellate,
attraverso sentieri improvvisi
fuggite
alla presa.




giovedì 17 novembre 2011

il gusto della vita...

Un altro caffè


La tazzina candida pare non potere
contenere il fumante corpo smanioso

d’amplesso di labbra e, dal gusto che
traspare nell’innocenza lussuriosa,

quel tripudio d’umori segreti:
nocciolo d’esaltazione irreligiosa.

Un altro caffè mi guida, nel morbidìo
del dopo sesso, dal nulla di fondo

dentro al respiro ormai compiuto
di sangue e fragranza in corpo perfetto

Un altro caffè conduce, per causa ed
effetto, all’esaltazione di succhi

in conclusione d’eccedenza
ad orgia ed eco di pietanza

Un altro caffè mi fa da ponte, per
profuga dovizia, a distinto continente

in battesimo di conoscenza valica
la diffidenza che ancora s’avanza.

Un altro caffè rammenta, per dovere
di cronaca, quell’ultimo caffè che 2 anni

bandì il gusto, in obbedienza al medico
rimedio, e rammendò affanni

Non v’è, a scovarla, curva d’istante o
malanno di memoria che mi stani

nudo dell’armonia dell’aroma nel gusto
di lotta contro le fiere dell’afflizione

Che tale rito generi frattura serena
innanzi allo scorrere degli eventi, emerge,

ovunque e comunque, in stanza o pastura,
nell’eccitato gesto a finitezza di scena.